Noah: una Terra-di-Mezzo antidiluviana?


Senza titolo-4

Anche facendo il possibile per ignorare le recensioni di Noah, oramai tutti abbiamo sentito o letto del film di Darren Aronofsky come una via di mezzo tra Il Signore degli Anelli e il Gladiatore oppure formulazioni del tipo “è un fantasy” ed altre ancora. Sarebbe utile sapere se le presunte dichiarazioni del regista sull’ispirazione diretta da Jackson (in un numero di EMPIRE Magazine) siano reali oppure inventate ad hoc. Giornali stranieri e italiani si rimbalzano fondamentalmente le stesse 3 o 4 varianti, un modo molto comodo di dare un’immagine al lettore che, sfortunatamente, di per sé significa poco o nulla. Più è vaga, meno l’articolista ne dovrà rispondere. Dev’essere comodo anche per chi scrive, per dribblare eventuali giudizi personali. Non vorremmo mai correre il rischio, non sia mai che un giornalista, anzi un recensore cinematografico, sia costretto a spiegarsi!

Cosa hanno a che fare Tolkien e le trasposizioni cinematografiche delle sue opere con il Noè di Aronofsky?

Si può subito percepire un senso di ribellione alla domanda, molti non sarebbero disposti ad accorpare le due trilogie di Jackson ad un unico cardine di riferimento ed altri ad assumere le trasposizioni su grande schermo come rappresentazioni principali dell’immaginario di Tolkien. Già questo è un piccolo spunto utile per diffidare a priori di chi vorrebbe liquidare la questione in una frase.

Un senso di ribellione ingombrante è anche quello che si prova alla visione delle prime sequenze di Noah. “Io sono cristiano e cattolico romano” (o almeno mi piacerebbe poterlo dire con la stessa certezza di Tolkien) e tuttavia ero ben consapevole che il film che avrei visto non sarebbe stato uno studio esegetico. E’ una premessa tanto necessaria quanto lo è quella di conoscere la Genesi prima di vedere il film: forse molto pretenziosa, il più grande limite del film.

“In principio era il nulla.”
[scena della Creazione]

Un modo per dire che il Creatore subentra solo con la creazione, oppure (che è lo stesso) che il Creatore non ha parte nell’esistenza del creato. Molto diverso è da “In principio Dio creò il cielo e la terra“. E’ una filosofia spicciola quella di Noah, una vera e proprio anti-teologia, lontana dalla poetica di Malick in The Tree Life (2010) e assolutamente prevedibile. In una visione molto affrettata e irritante per la sua stupidità, la stirpe di Seth, benedetta dal Creatore, non si ciba di esseri semoventi, vive nomade facendo soltanto uso di ciò che occorre loro, mentre quella di Caino usa violenza alla creazione e ai propri simili, costantemente fratricida, viene detta “industriosa” nel costruire città, svolge un’intensiva attività mineraria e inaridisce la terra (e la Terra). In un netto schieramento che vede Noè a capo di giusti vegani ambientalisti che si nascondono dalla gran parte di un’antica umanità modernista, la malvagità degli uomini passa quasi in secondo piano: ci si chiede come un uomo che insegna a suo figlio a non cogliere nemmeno i fiorellini dal suolo possa tranquillamente trafiggere tre suoi simili per vendicare un animale braccato, lui vestito di varie pelli.

Tutte queste licenze che al massimo possono accontentare i militanti animalisti (nelle Scritture smentite a più riprese) vengono presto soppiantate. La storia entra nel mito, il posto che sembra competerle. Il Creatore non è Dio: egli non parla a Noé, è muto, né viene nominato con altra qualifica. Una strategia che sembra equidistanziarsi da tutte le religioni che riconoscono Noè come patriarca ha un ruolo preciso nella narrazione: Noè non conosce la chiara volontà del Creatore, è interprete dei segni che gli sono inviati. Le visioni possono indicare la fine del Mondo tanto quanto l’inizio: “sarà tragico“.

I concetti propri del mito possono sfigurare e deviare, ovviamente, con scelte estetiche discutibili. Ci sono degli spiriti angelici in trasparenza luminescente, impietositi dalla Cacciata diventano soccorritori dei figli di Adamo, ma vengono contaminati dalla “lordura” del nostro mondo e rimangono impastati in gigantesche forme di fango roccioso, incapaci di separarsi dalla loro prigione materiale: sono loro ad insegnare ai figli di Caino le arti, ma presto devono arrendersi alla di questi inderogabile malvagità, finendo persino perseguitati dai propri discepoli.

Per la loro disobbedienza, non possono più ascendere al Creatore. Secondo molti, sono proprio questi giganti di pietra il picco del baratro fantasy del film e, al pari del “vegambientalismo”, il principale punto di debolezza e gli elementi che sanciscono la vicinanza con le scelte di Jackson (vedi Un Viaggio Inaspettato). Sarebbe interessante sapere l’opinione di uno degli antichi scaldi sulla considerazione che una rappresentazione elementale di creature antropomorfe sovradimensionati costituisca un indebolimento artistico in una narrazione mitica. Forse, se i recensori si dessero pena di avere un minimo di cultura mitologica saprebbero che esiste una variegata e nient’affatto sistematica anagrafe di esseri giganteschi più o meno correlati agli elementi naturali archetipici in quasi tutti i miti nella storia1. Tutto molto stimolante, ma niente a che fare con la Bibbia. Ma davvero?


Angelo o Gigante, mettiamoci una pietra sopra

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla Terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.

Genesi 6, 1-4, Edizione CEI

Un passo nient’affatto semplice che genera dispute d’interpretazione fin dal I° sec. d.C. nella storiografia cristiana. Altrettanto faceva tra i Giudei. Sarebbe esagerato qui esporre la problematica nel pieno della portata, o citare tutte le fonti e contro-fonti di quella o di quell’altra tesi. Però non è pretenzioso fornire un quadro generale. Alcune delle passate traduzioni riportavano l’originale testo ebraico in grafia normalizzata nephilim (o nefilim): la traduzione di nephilim a gigante (fu il traduttore greco ad usare gigantes) fu fatta per lo più perché il termine occorre in Num 13, 30-33. In esso si dice.

Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè e disse: “Andiamo presto e conquistiamo il paese, perché certo possiamo riuscirvi”. Ma gli uomini che vi erano andati con lui dissero: “Noi non saremo capaci di andare contro questo popolo, perché è più forte di noi”. Screditarono presso gli Israeliti il paese che avevano esplorato, dicendo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo notata è gente di alta statura; vi abbiamo visto i giganti [nephilim, ndt], figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro.

La “razza di Anak” è l’unico altro caso in cui occorre questo termine, mentre altrove si fa riferimento a giganti come uomini di grandi dimensioni ma nei limiti dell’umano (Golia, Oloferne…). Che si tratti di un termine specifico sembrerebbe evidente, a meno di stabilire (come si dice effettivamente nella Genesi) che nessuno salvo Noé e la sua famiglia sia sopravvissuto al Diluvio, per cui ritrovarli nella conquista di Palestina è assurdo. Tale appunto ignora però che, per quanto la Bibbia restituisca forse la più unita concezione mitica della Storia, le tradizioni semitiche che hanno confluito in essa sono assai più variopinte2.
Secondo altri3, il termine nephilim è preso a prestito dall’aramaico (il testo di composizione della Genesi è l’ebraico) per l’accentazione rispetto alla desinenza, una cosa che si può dedurre come no dalla grafia originale. Nel qual caso, una comparazione con la mitologia mesopotamica identificherebbe sicuramente i nephilim come giganti.

Il secondo punto non è di traduzione, ma di senso letterale. I “figli di Dio” intesi come angeli, che s’innamorano delle figlie degli uomini e ad esse si uniscono sono sicuramente il dettaglio più pittoresco, per come appare a noi lettori di lungo corso occidentale, abituati ad una netta distinzione come esseri di puro spirito e la loro più presta concezione anche materiale (elementale o carnale). L’interpretazione circa “i figli di Dio” che s’impose tra teologi ed esegeti cristiani trova la sua decisiva espressione nel De Civitate Dei di Sant’Agostino, ove “i figli di Dio” sono considerati essere i figli di Seth, uomini; ma prima di lui non sono mancati coloro anche tra i Cristiani (su tutti Sant’Ireneo, che apprezzava fonti poi dichiarate non-canoniche, le quali ne parlavano) che invece conservavano la copulazione angelo-donna come trasmessa da una certa corrente giudaica.

Così è nel Libro di Enoch, sicuramente a disposizione in aramaico (all’epoca lingua internazionale del Medio-Oriente) già dal I° sec. a. C. e noto alle comunità ebraiche presso le quali attecchì la novella dei Cristiani, specialmente ai sapienti. Un testo poi rigettato dal canone biblico tanto da Ebrei che da Cristiani, l’apocrifo vetero-testamentario contiene capitoli attribuiti (attribuzione mitica) allo stesso Noé ed alcuni perfino trasmessi nell’insegnamento di Gesù: i Cristiani dei primi secoli si confrontavano sicuramente col testo e seppero da esso trarre sia contenuti teologici che lo stile letterario (apocalittico).
In esso la progenie dei Giganti è il risultato dell’unione mista tra tali Angeli e le figlie degli Uomini4. Laddove però gli Angeli decaduti – chiamati Vigilanti nelle composizioni più tarde del Libro di Enoch – insegnano le arti agli uomini, comunque una colpa grave per aver contaminato il creato ed impartito segreti (ognuno raffronti le affinità con i Titani grechi), i Giganti compiono atti ancora peggiori, divorando anche molti uomini. Lo sterminio che le schiere degli Angeli di Dio opereranno sui Giganti causerà anche la punizione dei Vigilanti, costretti a rimanere imbrigliati sottoterra per 70 generazioni, al termine delle quali verranno scaraventati nell’Inferno. A nulla vale il tentativo di Enoch, padre del padre di Noé, nel chiedere perdono per loro presso Dio: il Diluvio verrà scatenato su coloro che hanno accolto gli insegnamenti dei Vigilanti, conferma della Caduta e del tradimento di Caino ed è quindi rintracciato nella loro discesa il “punto di non ritorno”.

La portata del Libro di Enoch non si può certo sminuire nel dirlo apocrifo. Il fatto che sia inaccettabile perché in disaccordo con il Mistero della Rivelazione (di cui Noé fa parte) per come compiuto e raccontato nel Vangelo (e lo è), non indebolisce in alcun modo la sua ricchezza letteraria, che ogni cristiano e cattolico può tranquillamente accettare ed apprezzare in piena ortodossia anche in una visione d’insieme sull’Antico Testamento. La bellezza di alcune immagini come l’ascesa nei cieli di Enoch e la visita dei cori angelici era impossibile da ignorare, sicché i primi scritti angelologici ed escatologici cristiani, o anche altri più in generale teologici, gli devono quantomeno parte della poetica filosofica. Non c’è dubbio, poi, che tale libro in diversi punti consenta una comparazione costruttiva ed integrativa con il mito diluviano in Genesi senza danneggiarne la canonicità. La Chiesa Copta addirittura accoglie Enoch Etiope.


Al contrario, nel film Noah Vigilanti e Giganti sono un’unica entità e la loro colpa non è quella di essersi invaghiti delle donne, ma di aver soccorso gli uomini nonostante il divieto del Creatore ed è per questo rimangono ancorati alla Terra. Non si può certo rimproverare ad Aronofsky l’impreparazione: la condensazione è un meccanismo indispensabile quando un film si propone di occuparsi del mito, sarebbe impossibile in poche ore restituire tutta la complessa cosmogonia giudaica. Aronofsky non emula Jackson, usa semplicemente il buon senso per non sovraccaricare lo spettatore fino all’inevitabile confusione. Né gli si può rimproverare l’aver smussato gli episodi più spinosi; proviamo a pensare quante altre sassaiole avrebbe ricevuto per aver inscenato o anche solo accennato all’accoppiamento di un angelo con una donna. L’Enoch è stato letto accuratamente (i nomi dei Vigilanti provengono tutti dal testo) e non si è avuta alcuna paura di procedere oltre5. Come Enoch intercede nell’apocrifo, suo figlio Matusalemme [Anthony Hopkins] nel film di Aronofsky è l’unico che protegge i Vigilanti dal massacro che perpetrano i figli di Caino.

Insomma secoli, millenni di tradizioni letterarie buttati a mare solo per soddisfare i “critici” nel porre l’etichetta fantasy nella sua accezione più snobistica. Dettagli, certo, magari anche mescolati alla bell’è meglio in un calderone, eppure mai screditati nell’applicazione ma nella loro stessa presenza. Dettagli che forse non meriterebbero tutta questa attenzione se non altri non ci si fossero fissati. Dettagli che non possono essere il punto centrale del film come non possono comprometterne il valore, che tutt’al più rivelano più la magra preparazione di chi è preposto a comprendere il film nelle fonti della sceneggiatura, di che cosa sia un adattamento. Dettagli che si possono perdere in una disordinata fanfara, oppure acquistare di senso se orchestrati a indicare il dramma proprio della storia.

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Note Bibliografiche ed esplicative

1 Tolkien in particolare conosceva i miti norreni secondo la tradizione islandese e aveva solo l’imbarazzo della scelta per trasportare gli jǫtnar nella sua opera: accanto ai più popolari giganti di brina, nella genealogia norrena ci sono esemplari d’argilla, di fiamma e poi ancora in base alla collocazione cosmologica si dividono in di montagna o ancora di mare. Continui sono i riferimenti all’impegno degli dei nel vietare ai giganti l’ascesa al loro regno dopo averli precipitati (e annegati), continue le descrizioni delle loro fatiche viste molto timidamente e da lontano. Nel mito anglosassone jǫtun vocalizza in eoten: questi giganti nell’Antica Inghilterra sono costruttori di immensi edifici al servizio degli uomini.

Un tale gigante Og (uno dei refaim, considerato talvolta sinonimo di nephilim) sarebbe stato imbarcato secondo alcune tradizioni rabbiniche, e con lui la sua famiglia, completa di moglie e madre gravida, il che risolverebbe il problema della stirpe di Anak; solo per intenderci circa la pluralità da cui è stata tratta la Genesi che leggiamo oggi. Per approfondire le tradizioni rabbiniche sul mito diluviano si rimanda a Noè secondo i rabbini: testi e immagini della tradizione ebraica, di Andreina Contessa e Raniero Fontana, Effatà 2007 .

Lo studiosi biblico M. Heiser ha raccolto efficacemente le fonti dell’ipotesi e ne fa divulgazione correntemente. Vedi la nota sotto per una breve etimologia circa la comune fonte ebraica. 
Il raccordo con la Bibbia starebbe ancora nel termine nephilim, possibile derivato di naphal “cadere”, nei molti sensi connessi, ovvero anche “decadere” o “precipitare”. Infine “caduti”, forse in battaglia, cfr. nella prima citazione Genesi “eroi famosi”. I capitoli interessati delL’Enoch pervenutoci, tuttavia, sono tradotti in aramaico. Un’idea che ignora il Libro di Enoch vede i giganti come i protagonisti dell’Età greca degli Eroi.

Nel film Giganti hanno la forma cabalistica del golem, con un salto fino all’esoterismo ebraico del Medioevo e il riferimento ad un altro grande patriarca, il più grande, nientemeno che Abramo, che conosceva le “segrete lettere” come insegnatogli da Dio, per cui poteva anche animare l’argilla (Sefer Yetzirah).

1 commento su “Noah: una Terra-di-Mezzo antidiluviana?”

  1. Bellissimo articolo, esattamente quello che volevo sentire. Un’analisi completa. A questo punto dico pure che il genere di film non mi interessa assolutamente, ma che cercherò di vederlo, proprio grazie alla completezza di questo articolo.

Facci sapere cosa ne pensi, ma pensaci bene. ;)